Il senso della manifestazione
Quando la violenza colpisce, il primo impulso è scappare, proteggersi. Nascondendosi, chiudendosi in casa, tenendo gli occhi bassi, evitando le situazioni più rischiose. Quando la violenza colpisce, o promette di colpire, lo fa per farci restare solз.
Abbiamo scelto di reagire e unirci in corteo. Marciare è un gesto di ribellione, è scegliere che qui e ora siamo noi a essere importanti, non la violenza che subiamo. Marciando diciamo chi siamo, abbracciamo noi stessз e iniziamo ad avere meno paura. Marciando, ci accorgiamo di non essere solз, di avere persone che marciano al nostro fianco, con noi e per noi.
Marciamo per noi stessз, per chi non ha la possibilità di farlo e per chi non c’è più. Marciamo perché la transfobia uccide ogni giorno, e noi la vogliamo denunciare apertamente, così come apertamente vogliamo prendere parola per le nostre vite e le nostre identità.
Decidere di scendere in strada, di prendere spazio e parola, vuol dire compiere un atto di autodeterminazione, cioè scegliere autonomamente delle nostre vite e di tutti i temi riguardanti la nostra identità: dalla salute al lavoro, dall’identità di genere all’orientamento sessuale e relazionale.
Rivendichiamo il diritto di autodeterminarci nei nostri percorsi di affermazione di genere, siano essi medicalizzati o no, con i nostri nomi e pronomi. Ci riappropriamo delle nostre narrazioni con gioia e fuori dal vittimismo, rifuggendo la retorica dei nostri corpi trans* come corpi “sbagliati”, che ci intrappolano o da correggere. Mettiamo in discussione la narrazione della rinascita: le nostre vite non cominciano con la transizione.
Critichiamo il concetto di passing, fondato sulla cisnormatività e sul binarismo di genere: con le nostre transizioni e ri-transizioni costruiamo, disfiamo e rifacciamo il genere, nella sua moltitudine.
Pretendiamo di costruire paradigmi, scrivere narrazioni e creare spazi in cui le persone trans* siano previste in contesti scolastici, educativi, lavorativi, familiari e istituzionali. Siamo sempre statз ovunque, e sempre ci saremo.
Affermiamo il nostro fondamentale diritto di tutela della salute senza discriminazione, con il diritto all’aborto e alla genitorialità, nelle modalità che desideriamo.
Non si decide di nascere trans* ma si decide di vivere una vita trans*. Marciamo per dirlo, per gridarlo, per raccontarlo. Lo facciamo pienз di euforia di genere e carichз del ricordo delle vittime, riappropriandoci con i nostri corpi e con i loro nomi dello spazio pubblico, da cui spesso siamo esclusз.
“Corpo, cammina con me, con i piedi, con i tacchi, con le ruote, con le mani, con i solchi di quella saggezza di vita che scorre tra i movimenti…”.
Il ricordo delle vittime
Ricordiamo le persone morte per transfobia nell’ultimo anno, uccise o indotte al suicidio, sottolineando che la maggior parte di esse sono persone transfeminine, razzializzate e sex worker. La lotta deve essere intersezionale: non possiamo non dirci compagnз di chi vive altre oppressioni, che hanno forme diverse ma affondano le radici nello stesso sistema.
Siamo consapevoli che le vittime di transfobia sono molte di più di quelle che riportano i dati.
Spesso le loro morti sono invisibilizzate, poiché non hanno documenti o non sono riconosciute come persone trans*; a ciò si aggiungono indagini di polizia e famiglie transfobiche, che nascondono la vera identità delle vittime.
Anche le persone trans* suicide, spinte da pressione sociale, familiare, lavorativa, scolastica e da un clima politico sempre più aggressivo, che non hanno ricevuto un supporto o non hanno trovato una comunità capace di accoglierle e prendersene cura, sono da considerarsi vittime di transfobia sistemica e sono soggette a cancellazione.
Marciando denunciamo le discriminazioni, le microaggressioni quotidiane e la violenza sistemica che vogliono metterci a tacere, costringerci a stare nascostз.
Marciando liberiamo energia e ci scopriamo più forti di chi quell’energia vorrebbe cancellarla, senza dire grazie o chiedere scusa a nessunə. Lo facciamo per chi non c’è, per chi non può esserci e per la nostra esistenza.
Le nostre identità trans*
Depatologizzazione, autodeterminazione, corpi trans*.
Siamo trans* e questo non ci rende persone malate. Puntiamo il dito contro la norma cis-etero-patriarcale che ci tollera solo in quanto devianti, in quanto pazienti, in quanto corpi che hanno bisogno di essere curati. Questa patologizzazione è un giudizio costante sulle nostre identità, è la paura di essere sbagliatз che ci rende così difficile fare coming out ed esplorare il nostro genere liberamente. È la patologizzazione che ci spinge a vivere le nostre esperienze trans* prima e soprattutto come terapia.
Vogliamo vedere riconosciute la legittimità dei nostri corpi, la moltitudine e la varietà delle nostre esperienze trans* e tutte le forme che le nostre affermazioni di genere possono assumere.
Scegliamo di vivere una vita trans*, e pretendiamo la nostra autodeterminazione. L’autodeterminazione è la scelta libera su noi stessз e sulle nostre vite: negarla è una violenza. Veniamo raccontatз e giudicatз come se i nostri corpi fossero il problema, un errore che ci portiamo dietro dalla nascita e che non potremo mai completamente correggere. Ma i nostri corpi non sono più strani, più fragili, più medicalizzati, più erotici, più brutti, più bisognosi di cure degli altri. Sono corpi minorizzati, dimenticati o negati da un sistema che si arroga il diritto di decidere cos’è “normale”.
I nostri corpi non sono il nostro limite. Noi siamo i nostri corpi.
Siamo trans* in ogni momento della nostra vita e ogni momento della nostra vita è influenzato dall’essere trans*. Non ci esauriamo nel momento in cui usciamo dagli spazi di cura o di attivismo: siamo trans* ovunque. I nostri corpi sono esposti e visibili anche quando preferiremmo il contrario. Esistere apertamente non è un atto neutro, ma qualcosa che ci punta un riflettore addosso in un contesto in cui repressione e violenza sono sempre più sdoganate, scontate, e in cui ci stiamo assuefacendo alla loro onnipresenza.
Passing, binarismo di genere, transizioni medicalizzate e non, detransizioni e ritransizioni.
Il passing è come passare un esame. L’esame è tutti i giorni, negli occhi di unə sconosciutə, nel commento di unə familiare, nel modo in cui una persona estranea si rivolge a noi. A esaminarci è lo sguardo della società, lo sguardo del binarismo di genere, che ci scruta per capire se siamo “veri” uomini o “vere” donne.
Molte persone della comunità LGBTQIA+ sanno cosa significa essere giudicatз non abbastanza uomini o abbastanza donne, o essere giudicatз secondo schemi che altrз hanno scritto per noi, ma non basta abbandonare gli stereotipi. Dobbiamo lottare insieme contro un’idea di genere che serve solo a normarci, un’idea di genere che esclude i nostri modi non-cis, non-etero, non-mono, non-allo di essere noi stessз: le nostre esistenze fuori dalla norma.
Per questo critichiamo il concetto di passing, poiché prodotto dello sguardo cis-etero-patriarcale, che non solo giudica i nostri corpi dall’esterno, ma viene introiettato dalla comunità e diventa così il metro di giudizio con cui valutare la nostra performance di genere. Essere cis non è meglio di essere trans e non dobbiamo “non sembrare trans” affinché il nostro genere e i nostri percorsi di affermazione siano validi e rispettati.
Ribadiamo la piena autodeterminazione dei nostri corpi e delle nostre espressioni di genere, affinché ogni persona possa decidere autonomamente come presentarsi nel mondo, senza giudizi. Inoltre, sottolineiamo che il passing non è una conquista, ma un privilegio di cui essere consapevoli, e che coloro che non soddisfano i requisiti del passing si trovano più espostз a violenza fisica, verbale e sistemica.
Affermiamo che il genere è uno spettro, con le sue molteplicità e sfumature, e auspichiamo la fine del genere così come lo conosciamo.
Critichiamo il binarismo, secondo cui esistono solo due generi, quello maschile e quello femminile, in cui puntualmente il primo prevale sul secondo. Chiediamo la fine di un sistema di genere binario e rigettiamo l’idea del maschile e del femminile come poli opposti e distanti, posti a metro di paragone e giudizio di tutti gli altri generi.
Pretendiamo la possibilità di esplorare le nostre identità, decostruirle, ricostruirle più e più volte come desideriamo. Rivendichiamo la creatività.
Non esiste qualcosa come “completare la transizione” o fare una transizione “standard”, non esistono dei desideri uguali per tuttз. Quelli che il sistema medico ci impone come obiettivi sono modelli disegnati sessant’anni anni fa da persone cisgender; non sono e non erano nemmeno allora modelli universalmente validi. Rivendichiamo la possibilità di scegliere cosa è la partenza e cosa è l’arrivo per noi, e che il non avere un punto di arrivo sia altrettanto valido. Sosteniamo che fare un percorso di affermazione di genere medicalizzato o non medicalizzato siano opzioni ugualmente valide e siamo stanchз delle ingerenze del personale medico: vogliamo poter decidere in autonomia come transizionare, secondo il modello del consenso informato, senza che i nostri percorsi siano osteggiati se non rispondiamo al modello binario. È assurdo che ci si debba atteggiare in modo stereotipico e nascondere parti di sé per poter accedere alle transizioni medicalizzate, per paura di non risultare “abbastanza trans” da soddisfare i requisiti pur sempre stilati da persone cis. La transizione non è uguale per tuttз!
Rivendichiamo la possibilità di cambiare idea, ri-definirci, accorgerci che una strada non va bene per noi e sceglierne un’altra. Cambiare idea non deve essere una leva da parte della comunità medica per toglierci le terapie che per noi sono vitali. La vita è fluida e così il genere: pretendere che non ci siano titubanze o ripensamenti è violenza. Ci poniamo in aperta opposizione a un sistema che vede il genere come statico; in un mondo in cui è possibile cambiare studi, cambiare carriera, sposarsi e poi divorziare, il genere ha ancora un carattere monolitico: assegnato alla nascita una volta per tutte, non può essere soggetto ad alcun ripensamento. Se il genere è uno dei tanti aspetti della vita e delle nostre identità, sosteniamo che anche esso possa essere mutevole e che ciò che va bene per una parte della vita possa non andare bene per sempre.
Detransizionare, cioè interrompere o far cambiare direzione al proprio percorso di affermazione di genere, è un diritto. Respingiamo la retorica dei movimenti “no gender” che vedono la detransizione come un pentimento e che vorrebbero impedire alle persone di autodeterminarsi. La libertà di esplorare il genere non è un percorso a senso unico e poter “tornare indietro” è un diritto tanto quanto poter andare avanti.
Allo stesso tempo, denunciamo il fatto che in molti casi le ritransizioni sono la conseguenza di un sistema medico che prevede solo transizioni binarie: la visione stereotipata delle persone trans*, unita all’idea di un percorso che si dispiega in “tappe obbligate”, ampiamente presenti nei centri che prendono in carico le persone trans*, hanno come diretta conseguenza percorsi di affermazione di genere che mal si adattano alle necessità delle singole persone.
Le nostre narrazioni trans*: euforia, vittimizzazione, linguaggio ampio
Combattiamo per l’abbattimento dei confini che servono a dare sicurezza a chi ha il privilegio e a marginalizzare chi non lo ha. I confini del genere e i confini degli Stati. Siamo liberз di muoverci e cambiare. Lottiamo per tutte le decisioni che ci hanno negato, per tutto quello che saremmo potutз essere e per quello che potremo essere. Chi lotta per la propria libertà lotta con noi, e noi con loro.
Esercitiamo il nostro diritto di cambiare, di adottare espressioni di genere non conformi, di essere un elemento di disturbo per quella norma cis-etero-patriarcale che non ci prevede, che per anni, dentro e fuori le battaglie politiche, ci ha consideratз come corpi non abbastanza decorosi per prendere la parola pubblicamente.
Vogliamo smettere di essere raccontatз con i termini di un sistema patriarcale e binario, a partire dal linguaggio: oggi si sta sempre più diffondendo la consuetudine di usare forme neutre al plurale, quando ci si rivolge a un pubblico di genere misto. Ma le forme neutre devono essere riconosciute come legittime anche al singolare, pur con tutto il loro carattere di sperimentazione ed esplorazione linguistica, perché costituiscono per alcune persone l’unica via per trovare rappresentazione all’interno di una lingua rigidamente binaria.
Vogliamo che sia riconosciuta in primis dalle istituzioni educative la legittimità dei linguaggi ampi che stiamo elaborando, al fine di vedere rappresentate le nostre istanze e le nostre esistenze nel discorso pubblico. La lingua cambia dal basso, in base alle esigenze di chi la parla: la nostra voce non si ferma.
Vogliamo che nei media ci sia spazio per narrazioni alternative, più verosimili e attinenti alle nostre vite reali, dando ascolto alle nostre voci. Per dimostrare che c’è altro oltre alla nostra sofferenza, ai conflitti interiori, ci sono lavori diversi dal sex work e sentimenti diversi dalla disperazione. Non solo nella finzione, ma anche nel racconto della realtà, pretendiamo che il linguaggio si faccia accogliente e rispettoso, che i nomi e i pronomi utilizzati siano i nostri, e che l’enfasi non sia su “cosa eravamo prima”!
Mentre il sistema medico e i media raccontano le nostre storie secondo la cifra della disforia, noi pretendiamo che venga dato il giusto spazio all’euforia trans. Siamo trans* non perché soffriamo nel corpo in cui siamo natз. Siamo trans* e la vita che scegliamo di vivere ci rende felici ogni giorno. È questa euforia a renderci trans*.
Infine, denunciamo il fatto che, quando finalmente prendiamo parola, siamo tacciatз di vittimismo, anche all’interno della stessa comunità LGBTQIA+. Se esprimiamo rabbia, se facciamo richieste, se pretendiamo che le nostre esistenze siano rispettate, non siamo vittime: stiamo semplicemente raccontando ciò che viviamo ogni giorno, e non doversene preoccupare quotidianamente è un privilegio che noi non abbiamo. Accusarci di vittimismo, zittirci, non crederci è transfobia e va ad alimentare il sistema che ogni anno fa centinaia di vittime.
Siamo trans* ovunque
Scuola e università
Riconosciamo i risultati ottenuti con la carriera alias in ambito scolastico e universitario negli ultimi anni, tuttavia non è abbastanza.
La carriera alias non è ancora applicata completamente.
Denunciamo il fatto che a molti servizi universitari si possa accedere solo con il deadname: l’università è molto più di un luogo dove si fanno esami e vogliamo poter usare il nostro nome in ogni momento in cui attraversiamo gli spazi universitari, online o di persona.
Chiediamo che l’accesso alla carriera alias sia garantito in ogni momento, a chi studia e a chi lavora, nelle scuole di ogni ordine e grado, senza l’obbligo di avviare un percorso medico o di un certificato che attesti la nostra disforia di genere e senza trovare sbarramento da parte di famiglie, presidi, psicologhз scolastichз. Vogliamo che le informazioni su come avviare la carriera alias siano facilmente reperibili e accessibili, anche per chi non parla italiano, e che gli atenei attuino una campagna informativa al riguardo, istituendo anche una figura che si occupi di accompagnare chi studia nel percorso di ottenimento della carriera alias.
Sosteniamo che la carriera alias nella modalità a doppio registro è assurda: il personale docente non ha bisogno di un registro in cui è presente il nostro deadname e ne chiediamo l’eliminazione.
Chiediamo che il genere assegnato alla nascita sia richiesto il meno possibile allз studentз e unicamente nelle procedure burocratiche, chiediamo che tale dato sia sostituito dal pronome indicato da chi studia.
Chiediamo che il corpo docente e il personale amministrativo sia formato sui temi dell’identità di genere e sull’uso ampio della lingua, che sappia rispettare tutte le identità e che si impegni a non fare outing allз studentз trans* quando si interfaccia con le loro famiglie. Vogliamo che la scuola sia uno spazio sicuro per tuttз.
Pretendiamo la realizzazione di bagni senza genere, attraversabili da chiunque senza giudizio e facilmente accessibili, in ogni scuola e università.
Chiediamo che sia attuato un programma di educazione sessuale e affettiva nelle scuole, affinché si sviluppino la consapevolezza e il rispetto reciproco fin dall’infanzia. Chiediamo che siano svolte lezioni sul tema dell’identità di genere, tenute da docenti trans*, che sia insegnato un uso ampio della lingua, rispettoso di ogni singolarità, e che sia dato spazio a momenti di formazione interna ed eventi rivolti all’intera comunità studentesca. Sosteniamo che una società realmente inclusiva si costruisce dalla scuola.
Vogliamo che sia garantita la presenza di uno sportello d’ascolto composto da personale adeguatamente formato sui temi dell’identità di genere, in ogni scuola e ateneo. Chiediamo che sia maggiormente valorizzato e potenziato il ruolo del Comitato Unico di Garanzia e dellə Consiglierə di Fiducia, affinché la componente studentesca trovi un reale supporto in caso di discriminazione; chiediamo che alle segnalazioni di discriminazione segua l’attuazione di politiche efficaci per la sua eliminazione.
Lavoro
Il lavoro può permettere l’accesso ad autonomia e indipendenza economica, consentendo di uscire da situazioni di ricatto familiare o di convivenza, e questo è vero a maggior ragione per le persone trans*. Per questo motivo, l’accesso a un lavoro dignitoso, adeguatamente retribuito, libero da sfruttamento e discriminazioni è fondamentale.
Denunciamo il fatto che l’avere documenti incongruenti, l’utilizzo dell’identità alias, le difficoltà legate alla rettifica anagrafica e la diffusione di stereotipi hanno una pesante influenza negativa sulla ricerca di lavoro da parte delle persone trans*, che hanno difficoltà a trovare una prima occupazione e a rendersi, così, indipendenti economicamente, o a trovare un nuovo lavoro e ad accedere quindi a condizioni lavorative migliori.
Le discriminazioni sul lavoro sono molteplici: esclusione da opportunità lavorative, demansionamento, mancato avanzamento di carriera, licenziamento, misgendering e deadnaming, mancato riconoscimento dell’identità alias, isolamento, ostilità e microaggressioni da parte del personale collaboratore, dirigente e della clientela. Queste dinamiche sono estremamente diffuse e permeano la realtà lavorativa di gran parte delle persone trans*, causando conseguenze quali: deterioramento della salute mentale, abbandono del posto di lavoro, la decisione di costringersi a vivere reprimendo la propria identità in favore della sicurezza personale.
Per questi motivi è fondamentale fare in modo che nei luoghi di lavoro ci sia formazione sui temi dell’identità di genere, oltre a garantire tutele sul lavoro e favorire l’accesso delle persone trans* a opportunità lavorative.
Riconosciamo e affermiamo che il lavoro sessuale è lavoro e che le persone trans* che svolgono lavoro sessuale siano colpite da un doppio stigma, oltre a essere maggiormente esposte al rischio di subire violenze transfobiche. Per questi motivi il lavoro sessuale necessita di un riconoscimento in termini di diritti e tutele.
Sanità
Pretendiamo la fine della violenza e della stigmatizzazione da parte del personale sanitario. Chiediamo di poter interagire con personale formato sui nostri bisogni e sui nostri corpi e che le strutture di accompagnamento ai percorsi di affermazione di genere adottino un approccio depatologizzante, non di diagnosi, in un’ottica di accettazione del non binarismo e nella consapevolezza del potere che esercitano sulle persone trans*.
Chiediamo la fine dei meccanismi di gatekeeping che ci sbarrano la strada quando vogliamo accedere a una transizione medicalizzata: l’obbligo di sottoporsi a colloqui psicologici, il sospetto a cui andiamo incontro se siamo persone non binarie, non eterosessuali, se siamo migranti, neurodivergenti, sex worker, se cambiamo idea, se abbiamo anche una minima titubanza. Questo sistema ci chiede implicitamente di adattarci e ci spinge a mentire, a nascondere la nostra espressione di genere, se è non conforme, e il nostro stile di vita, se non rientra nella norma; ci viene chiesto di renderci accettabili e di mostrarci “abbastanza trans”: questo è abuso di potere.
Chiediamo il superamento delle criticità che continuano a interessare il Centro Interdipartimentale Disforia di Genere Molinette (CIDIGEM) – AOU Città della Salute e della Scienza di Torino, soprattutto per quanto riguarda i tempi di attesa, rendendo trasparenti i numeri delle persone in lista. Vogliamo poter accedere ai percorsi di transizione in tempi sostenibili, anche per chi non ha la disponibilità economica per pagare un percorso privato.
Chiediamo che si attivi al più presto una rete regionale di medicз e endocrinologз che possano offrire un’assistenza di prossimità decentrata su tutto il territorio piemontese, migliorando sensibilmente i tempi di attesa. Il percorso e l’accesso alle terapie ormonali dovrebbero essere condivisi con lə medicə curante, che dovrebbe essere abilitatə ad accedere al fascicolo elettronico.
Un aspetto molto delicato è la presa in carico dellз minori, per cui deve essere prevista la continuità tra i servizi rivolti a persone minori e adulte.
È necessaria una formazione di tutto il personale sanitario, anche in corrispondenza del PDTA Aziendale (Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale) che verrà presentato a marzo 2024: chiediamo che la formazione coinvolga anche persone trans*.
Chiediamo che, nell’ottica di una piena autodeterminazione dei corpi, venga fatto uso del dispositivo del consenso informato in tutti i passaggi che richiedono assistenza medica.
Chiediamo che sia garantito un accompagnamento alle persone trans* che si trovano nel carcere di Ivrea.
Chiediamo che le assicurazioni sanitarie prevedano la copertura per gli interventi di affermazione di genere. Chiediamo di non perdere il diritto alla prevenzione nel momento in cui i nostri documenti sono rettificati.
Chiediamo il riconoscimento dei diritti riproduttivi di tutte le persone e di poter accedere come persone trans* all’interruzione volontaria di gravidanza, perché l’aborto libero, sicuro e gratuito è un diritto di tuttз.
Siamo trans* in ogni fase della vita
Infanzia trans*
Rivendichiamo l’importanza di riconoscere, legittimare e rispettare l’autodeterminazione di genere rispetto all’infanzia e all’adolescenza di genere diverso o trans*.
Le norme binarie costituiscono le uniche possibilità che una società ignorante, violenta e transfobica ammette come “sane,” “giuste” e “raccomandabili”, negando alle giovani vite la possibilità di autodeterminarsi. In questo modo sono tutelate l’ingiustizia e l’inadeguatezza sociale, non le giovani persone trans*, anche piccole.
L’identità delle giovani persone trans* è sminuita, screditata: sono sempre considerate troppo piccole per sapere chi sono, per raccontare come si sentono, il loro disagio è considerato una “fase”. Questo ha gravi conseguenze sulla loro salute mentale. Se non si ritiene confusa, bisognosa di aiuto o di un intervento medico l’infanzia cisgender, perché viene trattata all’opposto quella trans*?
Queste giovani vite sono marginalizzate, relegate nell’invisibilità, senza un immaginario culturale e sociale che sia specchio dei loro vissuti, in cui riconoscersi ed essere riconosciute come persone che lo abitano. Mancano riferimenti positivi che diano valore alla loro esperienza, manca un linguaggio che le comprenda, svincolato da quello medico, che le riconduce a pensarsi solo come persone malate, soggetti da patologizzare.
Ribadiamo l’importanza dell’approccio affermativo: quel supporto genitoriale positivo che mette al centro il diritto delle giovani persone trans* a esistere per come sono, con le loro istanze e i loro desideri.
Siamo genitorз e persone alleate trans-affermative e stiamo cambiando le cose, sosteniamo e supportiamo l’autodeterminazione di genere, come diritto umano di vivere e crescere in modo sereno. Autoaffermare la propria identità significa lottare per uscire da percorsi di diagnosi e valutazioni mediche fortemente patologizzanti, in cui è ancora costretta l’esperienza trans*.
Non rimaniamo in silenzio. Mentre la parte politica che dovrebbe proteggere i nostri diritti tace, rivendichiamo insieme a una giovane generazione queer e a tante persone alleate il diritto per questa infanzia e adolescenza di esistere e di essere riconosciuta, incoraggiata e celebrata, affinché possa affrontare la vita con forza e autodeterminazione.
A oggi, l’accesso alla carriera alias nelle scuole resta ancora una concessione, e non un diritto. Tuttavia, le giovani persone trans* sono ovunque, negli spazi ludici, nello sport, nei trasporti, e devono essere garantiti loro benessere, sicurezza e rispetto.
Genitorialità trans*
Anche le persone trans* sono genitorз, oppure vogliono diventarlo, tuttavia è molto diffuso il preconcetto secondo cui essere transgender ed essere genitorə sono due condizioni inconciliabili.
Nonostante da otto anni la sterilizzazione non sia più un requisito per l’adeguamento del genere sui documenti, in Italia siamo ancora agli inizi nei dibattiti sui diritti riproduttivi delle persone trans* e sulla pluralità di modelli familiari con genitorз e figure di riferimento trans*.
Nella quotidianità le persone trans* con figlз o che cercano di averlз incontrano diverse difficoltà e ostacoli.
Questi impedimenti possono essere comuni a tutta la genitorialità trans* o diversificarsi, a seconda che lз figlз siano arrivatз prima del percorso di affermazione di genere o che si cerchi di averlз a percorso di affermazione già avviato o senza avviare tale percorso.
Nel caso di figlз avutз prima dell’inizio del percorso di affermazione di genere, i vuoti normativi della legge 164, insieme alla mancanza di specifiche circolari seguenti, lasciano agli ufficiali di stato civile il compito di decidere se procedere all’annotazione del cambio di genere del genitorə sui certificati di nascita dellз figlз e all’anagrafe cittadina attribuire la corretta posizione del genere dellз genitorз sulla carta d’identità dellз figlз minorenni.
Riteniamo importante la protezione della privacy dellз genitorз trans* nella scuola con modulistiche adeguate e la possibilità di usare un alias.
Inoltre, è fondamentale una corretta formazione sulle tematiche dell’identità di genere presso quelle professionalità che vengono in contatto con queste costruzioni familiari: insegnanti, personale educativo, Pubblica Amministrazione, medicз, assistenti sociali, psicologз.
Per quanto riguarda la volontà di avere figlз a percorso di affermazione di genere iniziato, chiediamo il diritto all’utilizzo dei gameti crioconservati anche dopo l’ottenimento di una sentenza di cambio di genere. Riteniamo che lo stato non possa arrogarsi il diritto di privarci dell’utilizzo di quelle che sono a tutti gli effetti parti del nostro corpo.
Chiediamo il riconoscimento del genere legale dellз genitorз trans* sull’atto di nascita dellз figlз.
Chiediamo l’apertura della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita e dell’adozione alle coppie same sex e alle persone single.
Ribadiamo l’importanza per il personale sanitario che si occupa di riproduzione di avere una formazione adeguata per quanto riguarda le gravidanze, la contraccezione e l’interruzione di gravidanza.
Ribadiamo che il matrimonio e l’unione civile sono una scelta libera e il loro scioglimento deve avvenire per volontà delle persone coinvolte e non per volontà dello Stato, che ad oggi converte il matrimonio unilateralmente in unione civile, senza considerare impatto emotivo e sociale sullз figlз presenti e, al contrario, non prevede la conversione di unione civile in matrimonio, con analoghe ripercussioni sui soggetti interessati.
Consideriamo assolutamente necessaria anche una maggiore protezione della persona transgender durante le separazioni conflittuali.
Inoltre, chiediamo che lз ragazzз trans* e quellз con genitorз trans* trovino una rappresentazione del loro vissuto durante corsi di educazione affettiva in ambito scolastico: la discussione di questi temi favorirebbe anche la conoscenza dell’esistenza delle nostre famiglie e, quindi, la lotta alla discriminazione.
Vecchiaia trans*
Le persone trans* invecchiano come tutte le altre.
Le problematiche con cui si scontrano, però, hanno delle peculiarità legate al loro percorso di vita, che molto spesso è stato segnato da esclusione sociale e invisibilità.
Le persone trans* anziane difficilmente possono contare sullo stesso supporto familiare delle altre persone anziane e la rete amicale che compensa questa mancanza non ha lo stesso riconoscimento nelle istituzioni mediche e assistenziali.
Esiste ancora molta discriminazione nel prendersi cura di corpi non conformi al modello cisnormativo e le persone trans* che diventano non autosufficienti e si ritrovano in strutture con personale non formato vivono questa discriminazione quotidianamente. Chiediamo che il personale sanitario sia formato, reso consapevole delle reali necessità delle persone trans* anziane e rispetti le loro identità.
Inoltre, la generazione composta dalle persone trans* che ora hanno tra i settanta e gli ottant’anni ha vissuto in un periodo in cui il mondo del lavoro era completamente inaccessibile e l’unica risorsa per sopravvivere era il lavoro nero, anche di tipo sessuale: questo ha fatto sì che oggi quelle persone non possano avere una pensione sufficiente a vivere dignitosamente.
La transfobia
Microaggressioni
Le microaggressioni sono ovunque, anche all’interno della nostra comunità. Sono azioni, parole, gesti, atteggiamenti all’apparenza trascurabili, che hanno però conseguenze concrete e, alla lunga, devastanti. Lo sono il misgendering, il deadnaming, l’outing, lo sminuire le nostre identità, i nostri nomi e pronomi, lo sguardo sessualizzante o di disgusto, la derisione, lo scherno.
Le microaggressioni sono dappertutto: in famiglia, a scuola, al lavoro, in ambito medico, in strada, sui social. Sono quotidiane e sono subdole, difficili da riconoscere per chi le agisce, che talvolta non ha consapevolezza della transfobia insita nelle proprie azioni o parole, e difficili da riconoscere per noi che le subiamo, perché la transfobia è anche interiorizzata.
Le microaggressioni sono una forma di violenza reale e hanno conseguenze concrete, come il deterioramento della salute mentale e l’isolamento sociale. Per questo è necessario lottare per creare spazi realmente inclusivi, informati e liberi da transfobia, a partire dai nostri.
Violenza sistemica e transfobia
Viviamo in una società in cui la transfobia è sistemica e in cui esistere come persone trans* è considerato sbagliato, pervasa dal binarismo di genere e da una norma cis-etero-patriarcale. Subiamo violenza sistemica quando i nostri percorsi di affermazione di genere devono essere approvati da personale medico e psicologico, negandoci l’autodeterminazione. Quando dobbiamo passare dai tribunali per vedere riconosciuto il nostro diritto all’identità, quando dobbiamo rinegoziare tutti i nostri documenti e tutti i nostri titoli.
Chiediamo quindi una nuova legge per i percorsi di affermazione di genere. L’attuale legge 164/82 è stata scritta e pensata più di quarant’anni fa e non tiene conto dei cambiamenti che ci sono stati. Vogliamo una legge che definisca una via amministrativa per l’adeguamento di genere e il cambio del nome, che non ci obblighi a passare per i tribunali per avere il riconoscimento della nostra identità e non lasci alla discrezionalità dellз giudici il compito di approvare o meno le nostre scelte. Spesso questa stessa approvazione viene delegata a psicologз e medicз, che diventano certificatorз della sussistenza della nostra richiesta. Fino a quando tutte queste figure avranno maggiore potere di noi sulle nostre vite non potremo parlare di autodeterminazione.
Viviamo in una realtà che non prevede la nostra esistenza, e questa violenza sistemica ha delle conseguenze anche sulla nostra autopercezione. La transfobia interiorizzata porta alcune persone a considerarsi un errore, a volersi uniformare il più possibile a un genere, a vivere nascoste.
Dobbiamo combattere prima di tutto la transfobia che è dentro di noi. Rivendichiamo l’elaborazione, la sorellanza e la lotta che facciamo ogni giorno come comunità quali mezzi di resistenza.
Coming out come persona trans* e non essere out
Il coming out come persone trans* ci espone a una moltitudine di stereotipi sulle nostre identità: pregiudizi sui nostri corpi, su come dovrebbero essere le nostre espressioni di genere, su quali possano essere i nostri orientamenti sessuali per essere persone trans* valide. I nostri coming out sono ancora più difficili se il nostro genere non è binario o se non siamo eterosessuali.
Essere out come persone trans* può farci la famiglia, il lavoro, gli affetti.
Critichiamo il concetto di coming out come step obbligatorio per la realizzazione personale e ne evidenziamo la natura di privilegio. Per questo motivo, per quante persone trans* marcino con noi, ce ne sono altrettante che non possono scegliere di scendere in strada e rendersi visibili liberamente e senza paura.
L’intersezione delle lotte
Soggettività trans* razzializzate e migranti: intersezionalità
Alcune persone trans* vivono discriminazioni multiple e simultanee, che sono dovute all’intersezione con altre caratteristiche della loro persona, come il colore della pelle, il background migratorio, il ceto sociale, l’età, la religione.
Quando una persona trans* lascia il proprio paese, per motivi economici, di discriminazione o per l’impossibilità di fare un percorso di affermazione di genere, si ritrova in un contesto in cui è doppiamente discriminata: come persona migrante da una società razzista e come persona trans* da una società transfobica e, spesso, anche dalla propria comunità di origine.
Anche il mondo del lavoro presenta una doppia difficoltà: se per le persone migranti è difficile trovare spazio nel mondo del lavoro, lo è ancora di più per le persone trans* razzializzate. La burocrazia, i documenti e la conoscenza della lingua spesso diventano barriere per accedere alle terapie ormonali o per il riconoscimento del proprio nome, precludendo alle persone trans* migranti di prendersi cura della propria salute fisica e psicologica. Lottiamo contro razzismo e transfobia, perché la liberazione sia di tuttз.
Disabilità e neurodivergenze
La lotta all’abilismo è fondamentale. Rivendichiamo la necessità di spazi accessibili per chiunque, a prescindere dai bisogni individuali che caratterizzano e differenziano la nostra comunità, spazi sicuri per tutta la comunità, dove ci sia rispetto. Affermiamo la necessità di poter essere orgogliosз dei nostri corpi, delle nostre identità e delle nostre vite non conformi.
In una società che spesso vuole le persone disabili e neurodivergenti escluse dai temi LGBTQIA+ poiché infantilizzate, lottiamo costruendo spazi di inclusione, ascolto e rispetto. È necessario combattere per una maggiore assistenza delle persone non autosufficienti, spesso costrette all’oblio in merito al proprio orientamento sessuale e alla propria identità di genere, poiché troppo dipendenti da famiglie o comunità che non sempre sono rispettose delle loro identità.
Rivendichiamo la necessità di una maggiore formazione delle figure professioniste che accompagnano nei percorsi di affermazione di genere, in cui spesso le persone disabili vengono invisibilizzate e screditate, risultando così ridotte alle loro necessità strettamente mediche, e il bisogno di personale medico più formato in ambito di salute mentale, affinché chiunque possa trovare luoghi accoglienti dove esprimersi e sentirsi accoltə.
Le identità intersex
Alcune persone intersex si identificano come trans*. La patologizzazione nei confronti delle persone intersex è forte, tanto che moltз neonatз intersex subiscono interventi chirurgici non salvavita al fine di uniformare i loro corpi al binarismo di genere, ma lз neonatз non possono esprimere il consenso. Ribadiamo il valore dell’autodeterminazione, affinché ogni persona possa decidere in autonomia se e quando sottoporsi a trattamenti medici.